La legge 194 del 1978 ha reso legale l’interruzione volontaria della gravidanza in Italia garantendo alle donne la possibilità di portare a termine l’aborto in condizioni sicure dal punto di vista sanitario, riducendo in modo rilevante le complicanze causate dagli aborti clandestini.
La donna può scegliere di interrompere la gravidanza entro i primi novanta giorni (12 settimane) di gestazione quando la donna accusa circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. La donna deve richiedere a un medico di fiducia un certificato attestante la richiesta d’interruzione volontaria della gravidanza. Quando il medico di fiducia riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza con il quale la donna può presentarsi ad una delle sedi autorizzate per praticare l’interruzione della gravidanza. Invece, se non è riscontrata l’urgenza, il medico rilascia un certificato attestante la gravidanza, l’avvenuta richiesta d’interruzione della gravidanza da parte della donna e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni la donna si può presentare presso una delle sedi autorizzate per interrompere la gravidanza.
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata solo quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici (tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro), che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Tali processi patologici devono essere accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’interruzione volontaria della gravidanza.
Se la donna è minorenne, per l’interruzione della gravidanza è richiesto l’assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il giudice tutelare ascoltata la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna a decidere l’interruzione della gravidanza.
L’interruzione volontaria della gravidanza può essere eseguita con metodica farmacologica oppure chirurgica. La metodica farmacologica è utilizzata entro i primi 49 giorni dall’inizio dell’ultima mestruazione. Tale metodica prevede il primo giorno l’assunzione di mifepristone per via orale e il terzo giorno l’assunzione di misoprostolo. La metodica chirurgica prevede la dilatazione della cervice uterina, l’aspirazione del materiale ovulare e la revisione della cavità uterina.
L’interruzione volontaria della gravidanza non aumenta il rischio d’infertilità se non avvengono complicanze. Gli aborti illegali sono invece stati associati a un aumento del rischio di infertilità. L’interruzione volontaria della gravidanza non aumenta il rischio di avere aborti spontanei in futuro. Solo nei casi di concepimenti che avvengono entro i tre mesi dall’aborto, c’è un aumentato rischio di aborto spontaneo.
L’interruzione volontaria della gravidanza non aumenta il rischio di avere gravidanze extrauterine