DIAGNOSTICA PRENATALE INVASIVA
Le indagini di diagnosi prenatale invasiva hanno lo scopo di ottenere cellule di pertinenza fetale per l’analisi del cariotipo fetale. I tessuti utilizzati dipendono dal tipo di diagnosi necessaria e dall’epoca di gravidanza, Villocentesi a partire dalle 11 settimane di gravidanza e Amniocentesi a partire dalle 16 settimane di gravidanza.
Le indagini di diagnostica invasiva vengono richieste per due tipologie di indagini: cromosomiche e geniche. L’analisi del cariotipo è l’indagine più frequentemente richiesta ed è quella che viene utilizzata per diagnosticare o escludere la presenza di anomalie dei cromosomi, quali la sindrome di Down (trisomia 21). Questo tipo di analisi non permette però di evidenziare eventuali malattie legate a singoli geni (come ad esempio talassemie, fibrosi cistica, distrofia muscolare). L’altra finalità dell’esame è quella di diagnosticare, appunto, tali malattie. In questo caso si va a verificare la presenza del gene normale o alterato per confermare o escludere la presenza della malattia genetica nel feto. Di solito questa seconda indagine viene riservata a casi particolari, nei quali uno o più dei familiari materni o paterni (o figli precedenti) sono risultati affetti dalla malattia in esame.
Un’altra indicazione, molto più rara, alla diagnosi invasiva, è il sospetto di infezione fetale, prevalentemente da rosolia, citomegalovirus (CMV) o Toxoplasmosi. In questi casi il materiale biologico ottenuto viene utilizzato per ricercare il virus o il DNA del virus stesso.
TECNICHE DI DIAGNOSTICA PRENATALE
La tecnica utilizzata dipende del periodo di gravidanza e della tipologia di esame necessaria. Di seguito, riportiamo le caratteristiche delle due tecniche principali. Tutte vengono eseguite mediante inserzione di un sottile ago nella regione addominale (tra il pube e la regione ombelicale) che viene guidato ecograficamente sino a raggiungere il tessuto obiettivo del prelievo (placenta per la villocentesi, liquido amniotico per l’amniocentesi).
VILLOCENTESI
Tra le procedure di diagnostica prenatale invasiva è quella eseguibile più precocemente in gravidanza, dalle 11 settimane finite, sino, teoricamente, a fino gravidanza.
Consiste nel prelievo di una piccola quantità di tessuto placentare che viene aspirato mediante un ago in una siringa. Il materiale viene poi preparato adeguatamente per l’analisi del “cariotipo fetale” o delle alterazioni genetiche. L’analisi del cariotipo fetale richiede in totale circa 12-15 gg.
La procedura è fastidiosa, ma eseguibile tranquillamente senza anestesia locale. In generale, dall’introduzione dell’ago la procedura dura pochi minuti. In alcuni casi eccezionali, la persistenza dell’ago in addome può essere più lunga.
Il rischio principale della villocentesi è il rischio di aborto connesso al prelievo di circa lo 0.5-1.0%, che vuol dire che 1 su 100-200 donne che eseguono il prelievo, una può andare incontro ad aborto, soprattutto nella settimana successiva alla villocentesi. Tale rischio è uguale per tutte le procedure di diagnostica prenatale invasiva.
In alcuni casi può succedere che il materiale ottenuto per l’analisi sia scarso, o che le cellule non crescano in coltura. In questi rari casi, si rende necessario discutere con la paziente per l’eventuale ripetizione del prelievo o di alternative diagnostiche.
In generale, non vi è necessità di riposo forzato a letto o di terapia farmacologica successiva all’esame. Si consiglia semplicemente riposo nelle successive 24-48h e solo in casi selezionati terapia di supporto a base di progestinici o antibiotici.
È importante tenere a mente che il risultato normale della villocententesi NON significa assolutamente che il feto non possa avere malformazioni fisiche strutturali o malattie genetiche non diagnosticabili. Per questo è molto importante eseguire ecografie accurate che sono, appunto, dedicate a questo (Ecografia Morfologica-link).
AMNIOCENTESI
L’amniocentesi si può effettuare dall’inizio della 16 settimana, sino, teoricamente, a fino gravidanza.
Consiste nel prelievo di circa 15-20 cc di liquido amniotico che viene aspirato mediante un ago in una siringa. Dal liquido amniotico vengono poi raccolte cellule di origine fetale che sono presenti nel liquido stesso. Su tali cellule, possono essere effettuate le stesse analisi riportate di sopra a proposito della villocentesi.
La procedura è meno fastidiosa della villocentesi e anche questa non necessita anestesia locale. Dall’introduzione dell’ago la procedura dura un paio di minuti. In casi eccezionali, la persistenza dell’ago in addome può essere più lunga.
Come per la villocentesi esiste un rischio di aborto connesso al prelievo di circa lo 0.5-1.0%, che vuol dire che 1 su 100-200 donne che eseguono il prelievo, una può andare incontro ad aborto, soprattutto nella settimana successiva alla amniocentesi.
In alcuni casi può succedere che il materiale ottenuto per l’analisi sia scarso, o che le cellule non crescano in coltura. In questi rari casi, si rende necessario discutere con la paziente per l’eventuale ripetizione del prelievo o di alternative diagnostiche
In generale, non vi è necessità di riposo forzato a letto o di terapia farmacologica successiva all’esame. Si consiglia semplicemente riposo nelle successive 24-48h e solo in casi selezionati terapia di supporto a base di progestinici o antibiotici.
È importante tenere a mente che il risultato normale dell’Amniocentesi NON significa assolutamente che il feto non possa avere malformazioni fisiche strutturali o malattie genetiche non diagnosticabili. Per questo è molto importante eseguire ecografie accurate che sono, appunto, dedicate a questo.